Ma uno mi guarda in silenzio ogni volta che sfioriamo l'argomento natalizio. E quello sguardo, quegli occhi puntati su di me, in attesa di risposte che dovrei dargli a prescindere dalla domanda, mi mette un po' a disagio.
Finche ieri il momento è propizio. Siamo io e Uno soli.
"Io credo che siate voi a portare i doni, non Babbo Natale"
E io sento un occhio inumidirsi, solo uno davvero.
E non so se si inumidisce per la malinconia di un'età bambina che è passata così velocemente o se lacrima per la felicità di vederlo crescere questo piccolo uomo.
Sta di fatto che comincia a tempestarmi di domande:
e come si fa? E dove si prendono i giochi? Quando si mettono i regali? Ecco perché eravate più agitati noi di voi!
E tanto altro.
Beh, mi dico, è andata. Pensavo peggio.
E invece sono qui a stendere tranquilla.
Quando di nuovo mi si avvicina:
"Ma i folletti invece sono veri vero? Solo loro a riempirci il calendario...." e questa volta lo sguardo era supplicante, tipo: almeno questo lasciamelo.
E qui ho tentennato.
Non ho avuto subito la risposta esatta, ma dentro di me si levava piano piano l'immagine di un coltello che recide. Perché questo ho capito quest'estate grazie a Uno, che essere genitori spesso vuol dire recidere, staccare brutalmente, in un certo qual senso far morire delle parti.
E così ho fatto morire quella parte di Uno:
"No, non sono i folletti, siamo sempre noi."
Come quest'estate in cui gli ho detto che non erano gli amici che non potevano invitarlo a casa, era che non volevano.
Disvelare la realtà è opera faticosa a tratti ma necessaria.
E come tutte le cose drastiche, dopo ti lascia addosso spossatezza ma anche leggerezza e voglia di ricominciare a rivedere le cose.
E' quello che mi manca in alcune giornate, qualcuno che sveli anche per me. Che tronchi i rami secchi che ancora cerco di annaffiare.