martedì 31 maggio 2011

SPIACCICATI SU L'UTUMANA ovvero ASCOLTARE OTTIMA MUSICA LOCALE

Stima, il mio easy listening è in linea col mio "tema" settimanale delle radici.
Adesso ti spiego. Venerdì c'è stato lo spettacolo della scuola elementare: dieci classi che cantavo delle canzoni meravigliose. Una cosa semplice nella struttura, ma eccezionale nel suo farsi. Lo spettacolo è stato condotto da un gruppo molto conosciuto qui sul lago, i Sulutumana ("su l'utumana" = sul divano). Loro sono nati più o meno negli stessi anni dell'oggi più famoso Davide Van De Sfroos, ma sono rimasti i cugini minori, stando ai riferimenti del business musicale. Io li trovo più eclettici del VDS, più capaci di percorrere strade diverse, musicalmente più completi.
Le canzoni erano scritte per i bambini e una di queste è il loro cavallo di battaglia. Secondo me merita, anche se è legata al vecchio Lario (i commenti nella versione cantata dai bambini non c'erano!!):


Che bello cantare. Ma quanto è contagioso? Invidio i paesi del nord Europa, dove la materia "musica" è una cosa seria e non è lasciata a margine del piano di lavoro dei bambini. Quanto aiuta nella vita cantare? Tantissimo. Io quando sono nati i miei bambini cantavo. Addormentato metà del mio corpo dall'anestesia spinale, in attesa di vedere i miei piccoli, mi ritrovavo a cantare, per non pensare. Con l'Uno mi è uscita "Ci son due coccodrilli", mi concentravo sulle parole e cacciavo via la paura. Col Tre ho di nuovo ripreso quella canzoncina che mi accompagna fin da bambina e l'anestesista cantava con me ed essendo che al terzo la paura non va via, ma aumenta, dei pezzi non me li ricordavo (!!) e lui mi precedeva. 

Durante lo spettacolo il Due su Spicchio di Luna s'è addormentato. Beh, che dire... io una ninna-nanna così bella era tanto che non la ascoltavo.

lunedì 30 maggio 2011

TANDEM DA 4 ovvero SULLE RADICI DIMENTICATE

Ecco, Stima, finalmente abbiamo tirato fuori il nostro tandem. L'abbiamo lavato, gli abbiamo gonfiato le ruote, abbiamo sistemato i seggiolini e, senza l'Uno che era tutto il week end da un amico, l'abbiamo inaugurato.


L'abbiamo fatto per partecipare a un'iniziativa per cercare di smuovere le acque rispetto al progetto del Parco della Brughiera. La questione è, al solito, politica. Il parco stava per essere fatto, quando il nostro comune, il più grosso, all'ultimo momento s'è tirato indietro e allora la regione ci ha detto: " E allora pippirimerlo anche al vostro parco". Nel frattempo, guarda caso, è nato un progetto per un campo da golf, al momento naufragato grazie alle proteste, ma.....

Ma al di là del gesto.... a noi piace tantissimo andare in tandem!!!!! E' stato il K. che un giorno, dall'Ipercoop è tornato con questo mezzo eccezionale. Le sere calde d'estate usciamo e andiamo a trovare i nostri amici. Questo è stato il battesimo del Tre, che ha apprezzato molto attaccandosi al campanello. In tandem si bleffa (io bleffo) cercando di pedalare il meno possibile, si parla tanto, che in genere è quello che manca alle gite in bici. Insomma è una cosa che adoriamo veramente; se non fosse che abitiamo in una zona collinare....

Gioco del paracadute

Gioco del paracadute.
Un successivo post sulla sua costruzione
è d'obbligo...
Ma la due giorni legata al Parco è proseguita con una camminata tra i boschi vicini alla nostra futura casa. Questi:



Una volta la Brianza era tutta così. Una cascina enorme qui, una cascina enorme là. E tra queste boschi e prati. Più boschi, a dire il vero, come ci ha spiegato un signore di Legambiente, organizzatrice dell'evento. La mia terra è piena di colline perché gli ultimi ghiacciai si sono sciolti qui e le colline sono quello che il ghiacciaio s'è portato dietro. Le colline erano composte da materiale molto ferroso, per questo qui la terra è rossa, argillosa e dunque molto acida. E il terreno acido è quello migliore per far nascere dei boschi. Ecco, noi siamo lavoratori del legno perché nasciamo su una terra che produce boschi, ma, come spesso accade, molti se ne sono dimenticati.

Pausa pizzetta
E mentre passeggiavo in questi stupendi sentieri mi dicevo: "Ecco, ho scoperto perché.... siamo gente di bosco, che si rintana sotto le foglie, che ha paura ad uscire nel prato aperto, che guarda con sospetto le ampie zone, ma anche che protegge e accudisce". Nella frenesia del boom economico, del PIL più alto d'Italia, del lavora lavora, abbiamo perso dei pezzi importanti.
Ora tutto mi torna in effetti. E fa specie che i territori si dimentichino le proprie origini, e forse fa ancor più specie pensare che anche le attività umane alla fine partano da lì, da quella terra che tutti giorni calpestiamo e che diamo così per scontata. In fondo, a ben pensarci, spesso diciamo che dobbiamo mettere radici....


Tra poco questi campi diventeranno i nostri vicini di casa. Percorrendo i sentieri mi chiedevo se un giorno i nostri figli li percorreranno ad occhi chiusi per tutte le volte che li avranno attraversati. Come sarà avere un bosco per amico? 
Per ora non pensiamoci, e giochiamo. 
Qui non si vede, ma il Due ha in mano un aquilone che è volato così in alto che, come urlava mentre correva il mio piccoletto: "Ha quasi toccato il paradiso!!!".


giovedì 26 maggio 2011

L'EDUCAZIONE ALTERNATIVA vs GARDALAND

Stima ti racconto: un giorno una super docente di sociologia, faro delle scuole "alternative" della nostra provincia, faro di una concezione pedagogica progressista, durante un convegno ha detto che lei non capiva come si potesse far festeggiare ai figli la festa di halloween e come si potesse accompagnarli a Gardaland... Individuava in queste due cose, tutto il male del mondo, l'origine della degenerazione sociale.
Ecco, due zucche a noi ci scappano sempre il 31 ottobre e il giorno del compleanno dell'Uno, scappiamo a Gardaland.

Una foto con Spongi, vi rendete conto!!

Sono tre anni ormai che l'ultima settimana di maggio, come se niente fosse prepariamo i bambini per la scuola e invece di fermarci al solito parcheggio tiriamo avanti, loro ci guardano increduli e noi comunichiamo loro che la meta è Gardaland. E loro aprono un sorriso che gli spacca la faccia, si fanno il cinque e cominciano a dirsi: "A Gardaland? A Gardaland!!" per venti minuti filati.
Come è difficile per una certa scuola educativa capire che non tutto il mondo "normale" e "commerciale" è da buttar via. Che nel bambino, che non ha sovrastrutture, il lavoro con i pennelli si sposa con le montagne russe, che il gioco con i materiali naturali può andare a braccetto con il Colorado (Uno: "Mamma, non lo sapevo che Prezzemolino fosse amico del Coniglietto del Cioccolato.... ma un drago e un coniglio possono andare d'accordo?").

Bambino della classe dei "Pirati" con
un vero pirata!!!!

A me piace un sacco giocare. E a Gardaland mi ritorna quell'entusiasmo di dover fare tutto subito, mangiare in fretta per paura di "perdere tempo", correre per non fare la fila e rifare la stessa attrazione. 
Le prime volte, quando i bambini erano veramente piccoli, passavamo tutto il pomeriggio alla Fattoria, con i bambini caduti in un loop allucinante su e giù dalla giostra che non richiedeva soldi... ma erano così felici...

Bambino provato.
A volte mi dico che non devo avere dei limiti. Non devo essere integralista. Devo accogliere il bello dappertutto come in fondo fanno i bambini. Mi devo togliere un po' i panni della mamma alternativa che sentenzia guardando un po' dall'alto e mi devo, per esempio, semplicemente divertire, e a Gardaland ci riesco. Devo pensare anche che molte mamme non hanno il tempo, come ne ho io, di dedicare ai propri figli tutte le attenzioni che meritano e anche che, ed è un dato di fatto, non tutte le mamme hanno gli strumenti per aiutare i loro bambini a camminare su strade alternative. E molte di queste mamme sono lì a Gardaland, programmano un giorno di ferie, comprano tutte le peggiori porcherie alimentari (come ho fatto anch'io), sudano e tirano dietro anche le creature minuscole (come ho fatto io) sperando che i loro figli si ricordino di quel giorno speciale.


mercoledì 25 maggio 2011

SULL'UNO

Parto sempre da quel fiore lì. Comincia a farsi vedere timido i primi giorni di maggio, poi lento lento dilaga con quel suo colore acceso. Te lo ritrovi alla rotonda una mattina. E sì che quella rotonda la fai tutte le mattine, ma proprio quel giorno lo noti. Poi lo vedi al bordo del marciapiede. Caspita, ma come cavolo farà. Poi decora lo vedi che decora tutto il campo di granoturco che porta a scuola. 
Poi decido di comprargli un regalo che trovo in un negozio della quasi periferia milanese e di ritorno, all'ennesima rotonda, fermo la macchina:


Lui è un po' così. Tra il perplesso e il curioso. Ha degli occhi che domandano sempre, fin da piccolo si chiedeva delle cose che spesso io non capivo.

2005 - le domande.
Gli mancava allora la parola, grande sua futura arma. In realtà non è che proprio gli mancava, perché quella famosa fase che molti chiamano 'lallazione', lui la faceva così articolata che non ne venivamo a capo. A circa 12 mesi faceva delle conversazioni telefoniche con chissàchi per interi minuti.

2006 - la parola.
Il suo approccio è riflessivo. I suoi gesti sono lenti e gentili. Quando aveva tre anni mi ha preoccupato, mi sembrava stesse troppo fermo. Ero anch'io caduta nella trappola della mamma ansiosa per cui la normalità diventa una malattia e il temperamento del proprio bambino un ostacolo, non un dono.

2007 - la paura.
Le paure, come la nascita dei suoi piccoli fratelli, lui le butta fuori. Le pensa, dà loro un suono, le evoca e poi sempre delicatamente me le mette in mano e mi dice: pensaci tu. E così io millanto un po' di saperlo fare, ma molto spesso me ne sto lì, impalata, con la sua paura in mano e mi viene da piangere.

2009 - il contatto.
Ha dovuto, con fatica, imparare ad apprezzare il contatto fisico. Io e il suo papà l'abbiamo aiutato, ma più di tutti l'ha aiutato il Due, che vuole bene con le mani e con le gambe e con la bocca....

2010 - autoritratto.
E' un bambino che ride poco, così gli dicono. Come dicevano, d'altro canto, a me. E io mi sentivo a disagio e non capivo mai cosa volessero da me. Non so perché ride poco ma in effetti è così. E non so nemmeno perché io ridevo poco. Ma ero felice lo stesso. E così spero lui.
Vedo che la sua mente lavora, viaggia viaggia. Sta bene con se stesso, questo sicuramente. S'immerge nelle sue cose e poi riemerge per darmi un bacio. 

2011 - costruzione del regalo dei suoi compagni.
E' un momento in cui va e poi torna. Costruisce e dà un bacio. Legge e poi domanda una cosa. Mi racconta di scuola e poi scende in cortile. E' così crescere, no? E' staccarsi piano piano. 

E' entrato nella mia vita in un giorno di sole e quel giorno K. aveva raccolto lungo la strada dei papaveri che mi aveva donato. Erano pochi meravigliosi papaveri che riposavano in un bicchiere di ospedale. Oggi dentro di me quei papaveri sono uno sterminato prato rosso tra i capannoni grigi. 
Oggi l'Uno compie sette anni.




martedì 24 maggio 2011

COME FARE UN LEGNETTO D'INVITO ovvero LEGNAMEE

Falegnami da generazioni nel ramo maschile della famiglia. Cresciuta col profumo del legno nel naso, la polvere sottile bianca appiccicata ai vestiti, le schegge nelle dita, le lastre sottili di scarto da rompere per gioco, i chiodi per inchiodare i pezzetti di legno destinati alla stufa.
Parte di tutto questo c'è ancora.
Noi, diversamente dall'immaginario popolare, non chiamiamo quel luogo la 'fabrichetta'. Lo chiamiamo la 'ditta', che a me fa un po' via di mezzo. Tra il serio e il faceto.
Gli gnomi a volte mi chiedono di andare in ditta perché hanno in mente qualcosa. Come ieri, che sentivano l'urgenza di una spada di legno:


Lavorare il legno è bello. E invidio molto chi da un pezzo di carta riesce a tirar fuori un oggetto. A me sa molto di magia.
Dunque, il nostro progetto, come al solito, è partito dal caso. Una noiosa mattina scendo in produzione e guardo tra gli scarti: ommamma che bei pezzettini! Inscatoliamoli. Alla scuola materna piaceranno un sacco.


Ma loro non arrivano a scuola. Si fermano nelle mani di Gnomo Uno. Ci viene un'idea: usiamoli come legnetti d'invito alla sua festa di compleanno! L'entusiasmo è esploso..... prima scheggia nel dito dell'Uno che urla che no. Non si può fare, troppo pericoloso. Ok, Uno. Dico io. Andiamo, prendiamo la carta vetrata, e carteggiamo!!
E così:


Carteggiare è un lavoro che sembra semplice, ma in realtà non lo è. Ai bambini piace molto quella ruvidezza, la testano dappertutto (il Tre l'ha pure leccata e non gli è dispiaciuta) e farli lavorare con legno e carta vetrata li aiuta nella manualità.
Io e l'Uno abbiamo carteggiato tutti i pezzetti chiacchierando come due comari intorno al fuoco. 

Secondo step. Lo Gnomo desidera scrivere sui blocchetti con i pennarelli punta grossa. Espongo le mie obiezioni. Le mie obiezioni passano totalmente inosservate.



Siamo in questa fase. Sono finiti i tempi in cui avevo diritto di parola e azione. Mamma fammi provare, dice lui. E io chino il capo. La mia idea di legnetto d'invito esteticamente impeccabile, con profili di tempera, scritte con indelebile fine vengono rispedite al mittente. 
Ora, caro Gnomo Uno. Io ti lascio fare, anzi, apprezzo il tuo sforzo, ma almeno scrivi da sinistra a destra!!


Questo fine settimana l'Uno andrà a scuola con uno zainetto pieno di inviti-legnetti da distribuire ai suoi amici. L'aspirazione massima è che all'intervallo ci giochino facendo delle costruzioni, la dura realtà ve la racconterò lunedì.

IL GIOCO SCATOLINE CHIUSE - SCATOLINE APERTE ovvero POST SUL POST

In chiusura di una lunga e tortuosa giornata decido di dedicarmi al blog. Le mie simpatiche meningi si spremono e mi viene fuori un'idea intellettual-canzoniera. Accendo il computer, e girovago e rileggo questo post della Stima e soprattutto i commenti e mi dico. Possibile. Possibile che il gioco delle scatoline sia così sconosciuto. E cerco di ricordare da dove mi arriva. Dalla mia infanzia sicuramente, perché lo facevo. E poi alla scuola dell'infanzia i miei figli lo fanno. E dunque l'abbiamo ripreso e spesso ci giochiamo. 
Bando alle ciance, Stima, colgo il tuo suggerimento e ci faccio il post. Perché avere dei bambini e non conoscere il gioco delle scatoline è un peccato. Mortale.

ISTRUZIONI 
GIOCO DELLE SCATOLINE

Strumenti necessari
Più di un bambino (ma non è detto)
Un prato, un pavimento, un tappeto, insomma un luogo sgombro 
Un urlatore

Svolgimento
L'urlatore intima i bambini a diventare "scatoline chiuse" (vedi foto della Stima) e i bambini si accovacciano tipo gattone fermo e rinchiuso, tipo conchiglia avvoltolata, tipo riccio impaurito, con la fronte che tocca la terra. Improvvisamente l'urlatore appunto urla: "adesso le scatoline si aprono e diventano..... degli elefanti che hanno mangiato troppa torta e hanno il mal di pancia!" e magicamente i bambini si aprono e ci stupiscono, perché mimano col corpo (ed eventualmente con i versi) la cosa evocata dall'urlatore. 
Pochi secondi di scatoline aperte e poi l'urlatore richiama le scatoline chiuse e i bambini si rimpacchettano in attesa di un altro personaggio o animale o cosa da mimare.

Suggerimenti
Per l'urlatore: alternare personaggi strani e inventati a animali comuni se no i bambini tendono alla pazzia e cominciano a fare l'elefante col mal di pancia anche se si chiama la gallina. Uscire dagli schemi, in genere, li diverte molto. 
Dare ritmo al gioco, facendo passare non molti secondi tra una scatolina e l'altra, se no si stancano e si annoiano.
Provare a fare la scatolina. Sì, dico a te. Urlatore-mamma che non vuoi fare la scatolina. Dai, provaci. Fai  lo scambio col tuo bambino e così lui per una volta avrà la possibilità di fartela pagare, una volta per tutte.

Attenzione attenzione!!
Gioco altamente pericoloso perché molto contagioso.
Gioco apparentemente per 3-6, in realtà non c'è limite all'età. Ho visto mamme che suggerivano a bordo campo le composizioni mimiche ai bambini. Tutta invidia.

Contorno perfetto per il gioco in questa stagione: parco-coperta-ciliegia libera.



giovedì 19 maggio 2011

QUARANTENNI VS SCOLARI

Ieri sera Glee e, Stima, ho visto questa performance:


E mi sono detta che l'unico modo per apprezzare Lady Gaga per me è tramite la mediazione del Glee Club.
E poi mi sono detta: vecchia che sono, vecchia dentro.
Continuando la mia visione però ho anche pensato: cavoli, mi piacerebbe ricominciare a suonare il piano e poi ho pensato a quella mia amica, insegnante di violoncello che nell'intermezzo di uno spettacolino per i bambini che abbiamo messo sù in mezza giornata, mi ha fatto l'elenco di tutti gli amici comuni quarantenni che a un certo punto hanno ricominciato a suonare. E non l'ukulele (grande stima per l'ukulele!), nè il triangolo, ma il violoncello.
Non ce n'è. La generazione X continua a stupirmi, anche quando raggiunge (o sta per raggiungere) gli anta.  Ecco, seguo il filone, magari mettendo su una banda di X-over 40. Vado a cercare un buon maestro di piano che però non mi faccia fare le scale. A tutto c'è un limite. Le scale no.

mercoledì 18 maggio 2011

BUIO IN SALA ovvero TOTO' LES HEROS

In questa stagione care NXD, vorrei tanto che i fiori che vedo nelle aiuole delle rotonde, o nei giardinetti curati dalle nonne in pensione, si muovessero a ritmo di una vecchia canzone, magari una vecchia canzone francese. Sì, ogni primavera ho la nostalgia di questo film. Vorrei tornare indietro di vent'anni (caspita, 20 anni!) e di nuovo andare al cinema e vederlo di nuovo questo film, per di nuovo gioire e alleviare il cuore dopo quella visione....

TOTO' LES HEROS 
di Jaco Van Dormael (1991)


Lei, la trama: Questa è la storia di un anziano che ripensa alla sua infanzia e si vendica di un suo coetaneo reo di avergli "rubato" la vita.
Per me è la storia di un anziano che non ha mai rinunciato a essere bambino, per il quale la verità è quella che lui decide. Proprio come succede per i bambini che leggono il mondo attraverso solo ed unicamente se stessi. E questo sovversivo ribaltamento dell'oggettività a me piace tanto.
E' un film temporalmente caotico, dove l'ieri e l'oggi convivono pacificamente scombussolati. Dove però l'ieri è in technicolor e senza sfumature, mentre l'oggi è tutto un grigio e un marrone rasente l'oscurità.

Lei, l'atmosfera: di nuovo la storia di una famiglia. Non so cosa fare. Evidentemente da tempi non sospetti (15 anni avevo!!) queste storie mi appartengono. Forse perché anch'io utilizzavo molto la narrazione per incastrare tutti i pezzetti del puzzle che mi rimanevano in mano e tendevo a divagare col pensiero dove la tenera età mi consentiva di andare. 
Un film narrato da un bambino sognatore e arrabbiato. Uao. Sai, cara Stima, io penso che Jaco, il regista belga, da piccolo era un Bambino Dai Grandi Occhi. Non so, me lo sento.

I fiori che ballano sotto la mia finestra con quella musica di sottofondo.... Oh, come li avrei voluti anch'io... 
Ehi, ma aspettate, adesso che ci penso... io li ho avuti....




martedì 17 maggio 2011

FERMENTI ovvero RARITA' d'ITALIA

L'easy listening della Stima oggi è dedicato ad uno stato dell'animo così raro: il fermento.
E' quello che percepisco stamattina.
Questa canzone la canta un grande, Giorgio Gaber, che ho tanto amato e che, pur nella sua grandezza, incarna un po' anche l'italiano tipico, lui, così estremo nei pensieri, accasato con la tipica rappresentante del centro-destra nazionale.
Non so, nel privato non si deve rovistare, ma ad un certo livello in effetti il privato non esiste più, e ogni gesto è condannato alla gogna pubblica, di noi osservatori attoniti che l'abbiamo seguito per tutti i teatri milanesi.


Cambiare e fremere sono due concetti un po' estranei per noi italiani. O per lo meno io non ne vedo tanto di fermento e di cambiamento. E dunque mi godo questa mattina così strana, come se davvero qualcosa fosse finito e qualcosa d'altro iniziato.
L'homo politicus è un animale strano, molto irrazionale. Manuel Vazquez Montalban diceva che la politica è come l'amore e il calcio, gioca sul terreno dell'irrazionale. Quindi noi, come i bambini, felici e agitati pensiamo già che la favola sia finita con un "e vissero tutti felici e contenti", senza accorgerci che forse il difficile è proprio ora.

E poi una riflessione sul caso Strauss-Kahn. Questo signore decideva le sorti di paesi come Portogallo e Grecia e prima ancora di interi continenti come l'America Latina e l'Africa, nelle mani del Fondo Monetario da decenni. Si rimane basiti, perché a certi livelli di potere la sicurezza sull'impunità fa perdere la testa.

lunedì 16 maggio 2011

A PIEDI NUDI NELL'ORTO ovvero NON ARRENDERSI AL PRIMO FANGO

Cara Stima, in ritardo rispetto ai nostri piani, apriamo ufficialmente l'orto con il trapianto delle fragole.
La tentazione è forte, ma soprattutto i sandaletti che respirano mi sono costati un occhio della testa, quindi su una mia esortazione, tutti a piedi nudi!








Non c'è la foto di Gnomo Tre completamente coperto di fango, che mangiava i sassi e lanciava l'acqua dell'annaffiatoio perché le mie mani erano completamente sporche e il mio cellulare si rifiutava di essere preso.
Mi è venuto lo sconforto, ve lo dico. Io, così pronta all'idea dello sporcarsi, così felice che i bambini giocassero con la terra. Quando nella mia mente ho unito Gnomo Tre in versione marines ricoperto di fango + macchina pulita del K. ho gridato il mio sconforto a mia mamma, vera padrona dell'orto.
A quel punto lei, con nonchalance ha preso me e il piccolo mostro che avevo in braccio, ci ha messi vicino al bidone dell'acqua e gli ha fatto il bagno. Poi, dicendomi che forse stavo esagerando e che a tutto c'è rimedio e che la prossima volta ci portiamo oltre che la paletta anche l'accappatoio, è salita in macchina.
Beh, mi sono detta, in fondo lei era una che nell'estate del 1976, con tre figli di cui una di pochi mesi, è andata col proprio marito in vacanza in Yugoslavia in roulotte. E non era proprio Rimini... E non c'erano proprio tanti turisti al confine con l'Albania. 
Un po' a me manca quella tempra lì, e me ne dispiaccio.


mercoledì 11 maggio 2011

FERMARSI ovvero VITA SENZA EQUILIBRIO

Mamme F&C, faccio al contrario oggi. Parto dal problema e finisco col titolo del film. Perché in fondo, è così che nascono molti capolavori: da quello che facciamo, da come lo facciamo e da cosa ne pensiamo di tutto quel fare.
Non so se sono io o è un problema più comune. Non riesco a fermarmi. Parto la mattina (a fatica) e poi tutto si srotola davanti ai miei occhi ad una velocità inverosimile e io sono parte integrante dell'ingranaggio. Non riesco a stoppare questo tumulto, non riesco a fermarmi.
L'elenco giorno per giorno varia di poco poco:
sveglia
preparazione bambini
accompagnamento bambini
cappuccio con brioche (OHHHH, 15 minuti prima dell'apoteosi)
lavoro
prendere un bambino
pranzare
stirare o sistemare o stendere
prendere il secondo bambino
basket o spesa o parchetto
preparazione cena
cena
messa a letto
computer
libro
nanna

E i giorni mi si snocciolano davanti e ieri era lunedì e domani è già sabato. E anche le prossime settimane sono intervallate da cose da fare, da puntelli formati da appuntamenti o scadenze. Oggi mi ritrovavo a rimpiangere quei mesi seguiti alla nascita del Tre, così splendidamente vuoti, sgombri di date e di orari.

Mi sento un po' come queste persone viste da lontano che corrono corrono senza motivo apparente.


E quella musica perfetta di Philip Glass mi torna in mente sempre e sempre perché quello è il mio ritmo troppo spesso. E la sera, stanca e afflitta e arrabbiata, nulla smuove quel metronomo veloce. Solo ritrovarmi seduta al tavolo senza rumori se non il leggero russare dei bambini mi calma, una calma che mi dice solo che così non va bene.

A volte cado nell'errore di pensare che muoversi per un motivo valido, per uno scopo buono e giusto, sia sufficiente a giustificare il mio moto perpetuo. Ma no, cara me. Non funziona così. Sedersi immobili e stare. Questo è molto più saggio. Per lo meno intervallare, per fare in modo di non perdere il filo che lega il senso delle cose.

Io questo film l'ho conosciuto al liceo, anche se è del 1983. A 14 anni già facevo l'intellettuale che non va in disco ma che si spara due ore di cinema d'essay ogni sera. Volevo marcare la mia diversità da un mondo, quello dei miei coetanei, a cui non mi sentivo di appartenere o a cui gli altri faticavano a farmi appartenere. Quel film rappresentava per me tutto quello che non avrei voluto essere, né vedere nella mia vita e tutto quello per cui lottare nel mio lontano futuro.
Ed eccomi qua. Sono grande ormai, abbastanza grande per sapere che quel mondo lì rappresentato è il nostro mondo, nessuno escluso. E' doloroso a volte ammetterlo, ma aiuta tanto. Che sempre per gli stessi motivi vivo e anche questo non è male. Ricapitolare a che punto si è. Chiedersi cosa volevamo a 14 anni e ripercorrere il tragitto e chiedersi se un minimo di senso può esserci. Insomma, fermarsi. Un po'.


KOYAANISQATSI di G. Reggio (1983)

P.S. Koyaanisqatsi secondo la lingua nei nativi americani, vuol dire vita senza equilibrio. Per una meravigliosa analisi del complessissimo film (tre anni di riprese e il digitale non era ancora nato!!) vi rimando a questo meraviglioso lavoro.

lunedì 9 maggio 2011

PARCO, DOPPIOPARCO e CONTROPARCOTTO

Mutuo il titolo del post dall'ultimo film di Nanni Loy (Pacco, doppiopacco e contropaccotto - 1993) sull'arte dell'arrangiarsi.
E riprendo pure il mio discorso su feste di compleanno (ma sono nati tutti tra aprile e maggio??!?!?) che ho fatto qui parlando del regalo comune e di decluttering.
Le tendenze delle ultime feste di compleanno sono una corsa ad ostacoli per una normale famiglia e soprattutto per una normale mamma che lavora e vuole organizzare una festicciola per il proprio pargolo.
Intanto ci si sente spesso 'obbligati' ad invitare tutto l'universo mondo dei bambini ("Non vorrei che ci rimanesse male...."), ma io festeggiavo insieme ad altri 5-6 amici che proprio erano i miei Amici.

Compleanno al parco. Distribuzione torta.

E poi, se non c'è il pagliaccio Agostino, il super-intrattenitore con la laurea in comunicazione preadolescenziale, o i fuochi d'artificio, la cosa non va. Dimenticando forse che c'è una regola matematica che funziona su TUTTI i bambini e che è questa:
prendi una stanza vuota, mettici dentro un numero superiore a 1 (e inferiore a 50) di bambini, chiudi e ascolta. In due e dico due minuti avranno inventato un gioco e cominceranno a divertirsi come dei matti.
Ora il risultato di tutto ciò è che:
  1. Serve una mega struttura per ospitare tutta quest'orda di barbari in miniatura (o anche una mini-struttura organizzata e quindi vai di Festa a Tempo di MacD)
  2. La mamma e il papà spendono centinaia di euro per animare una festa che già di per sé sarebbe animata.
Diciamocelo. Vogliamo sempre il meglio. Noi genitori abbiamo dentro lo spirito competitivo che si riflette anche nell'organizzare la festa più bella, più divertente, più originale del mondo. E non importa se siamo spinti dalla buona fede e dal sorriso di nostro figlio, il risultato è una corsa ad ostacoli per noi e per loro.

La sua timidezza si scioglie davanti alla torta al cioccolato.

Il nostro gruppo di mamme, grazie al piccolo comune che ospita la nostra scuola, ha adottato la tendenza del parchetto, che io amo tanto.
Dovete festeggiare il festeggiato?
Prendete un parchetto sotto gli alberi (ombra) e con dei bei giochi (animazione gratuita), trasportate un tavolo e fate la torta. Per le sedie non preoccupatevi, il parco abbonda di panchine. Se volete strafare portate due palloni, una corda per saltare o per fare il tiro alla fune, un fazzoletto per bandiera e per nascondino non serve niente.
Per i nostri figli la gioia maggiore è stare con più di un amico. Questo penso sia già speciale per loro.


Naturalmente i nati in primavera-estate ne giovano. Ma anche d'autunno il parco si presta.
E se è brutto? 
Sull'invito scrivere: in caso di pioggia rimandiamo in attesa del sole.

domenica 8 maggio 2011

AUGURI MAMME ovvero GIRI DI WEB

Lo so, ormai i fiori li avete comprati, le telefonate di rito le avete fatte. E' tardi per parlare di festa della mamma. Sono rimasta tutta settimana in tentazione. Volevo parlarne qui, ma non osavo, un po' di pudore da mamma a cui hanno insegnato che agli altri non si deve mai parlare bene dei propri figli.
Poi però mi ha mosso l'istinto. E poi ho pensato che io posso parlare bene a me stessa dei miei bambini e quindi posso farlo anche qua che è soprattutto un posto dove parlo a me stessa.
Per non farla lunga.
Il web è un posto che riserva sorprese e quest'anno questo mio blogghino di sorprese me ne ha regalate tante.
L'ultima è stata una mail di un web-designer che mi chiedeva il permesso di utilizzare una foto che aveva trovato sul blog. Scorro la mail, leggo attonita e alla fine vedo questo:


E sotto un link: www.ciai.it del Centro Italiano Aiuti all'Infanzia.
Arrossisco a scriverlo. Ma non ho dormito bene quella notte.
Pochi giorni dopo il web designer si materializza nella voce di un ragazzo che al telefono mi spiega la mission del Ciai e poi mi chiede del blog e poi parliamo di figli... Uao. Dico io. 
Che bello. 
Ma l'emozione più forte è forse stata all'inizio della scorsa settimana, quando il Tre appare sull'home page del Ciai. 
Sono contenta. Mi piace che quel musetto aiuti a far cliccare. Scusate, veramente non è da me, ma sono in qualche modo orgogliosa. Ecco l'ho detto: orgogliosa. Orgoglio di mamma: il peggiore!!!! Eheheheh!!
Ora vado e compro (non l'ho fatto prima perché non trovavo più la mia carta..... sì sì è colpa del trasloco imminente.....). Contribuisco allo stipendio di un insegnante. 
Giusto per rimare in tema.
Auguri meravigliose mamme.

venerdì 6 maggio 2011

IL DILEMMA ovvero SUL CIBO

Cara Homemademamma oggi parlo di cibo o meglio, del dilemma del cibo.

IL DILEMMA DELL'ONNIVORO
di Michael Pollan


Il un lontano pomeriggio di pioggia, io e K. siamo andati in una grande libreria milanese. Senza figli (che allora erano due e uno in arrivo). E abbiamo sbancato. 
Tra i molti titoli presi, ci siamo concessi due saggi sul cibo che ben rispecchiano il nostro approccio al problema. Lui ha preso il libro di J.S. Foer  Se niente importa. E io ho preso il Dilemma. Che inizia più o meno così:

La più naturale delle attività umane, scegliere cosa mangiare, è diventata in qualche modo un'impresa che richiede un notevole aiuto da parte degli esperti.
In effetti, è pazzesco. Mi ero detta.
Noi, come il topo, siamo onnivori. Ma al contrario del topo che mangia ciò che gli capita indistintamente, noi possiamo scegliere (ommamma, a ben pensarci conosco qualcuno che mangia indistintamente tutto ciò che gli si mette nel piatto, e non è un topo...). Da questa asserzione parte il lungo ragionamento.
I motivi per cui mi è piaciuto questo libro sono innumerevoli:

  1. E' scritto da uno statunitense, quindi molto chiaramente. In modo semplice ed esaustivo.
  2. Parte da un'analisi della pianta del mais (praticamente tutto ciò che ci circonda è fatto di mais....), fino ad arrivare a narrare di un pranzo da MacD, per poi raccontare una battuta di caccia al cinghiale. Senza pregiudizi e preconcetti, analizza tutte le forme del fagogitamento umano. La mancanza di pregiudizi non è europea. A loro viene meglio!
  3. Il Bio. Lo analizza in modo sublime. Dal bio del super, fino al bio della cascina sperduta e indica anche quale sarà la strada futura (non dimentichiamo che il movimento dell'organic nasce in California nei primi anni settanta).
  4. La carne. Dedica molto spazio al problema: essere o non essere vegetariani?  E racconta benissimo il travaglio nel rispondere a una domanda così difficile. Le sue conclusioni sono affini alle mie e né io né lui (al contrario di K.) siamo vegetariani. La cultura da super ha tolto alla carne il suo elemento sostanziale, la sua "carnalità": quando vediamo un petto di pollo incelofanato o una bistecca nella ciotolina di polistirolo non ci ricordiamo del sangue, dell'odore, del fatto che quello è un pezzo di un animale. Questo fattore ci ha indotto a consumare più carne eliminando a livello culturale tutto l'orrido che c'è nell'uccisione e nella preparazione di quel succulento pezzettino rosa. Lui dice: andiamo dal contadino, guardiamo l'animale, facciamolo uccidere e allora il profilo culturale cambia, la prospettiva diviene diversa. Non nei mattatoi, dove gli orrori sono evidenti. Prendiamo la carne dal cugino della nonna che vive in campagna. Mangiamone poca. Riconciliamoci nei confronti di un mondo, quello contadino, che prevede l'uccisione dell'animale per la propria sopravvivenza.
Lo so che è una tesi forte. Ma io la condivido. Per me un piatto di carne è un fatto anche culturale.


mercoledì 4 maggio 2011

BUIO IN SALA ovvero STRANE STORIE

Gentili NXD, intanto: grazie.
La vittoria del vostro giveaway mi ha riempito di gioia. Quello per me non era un post "normale", ve lo svelo. Aveva dietro tutta una storia un po' particolare che magari un giorno vi racconterò e dunque per me è veramente un premio speciale.
Poi, come vi ho scritto nel mio commento, il vostro blog è stato per me l'iniziazione a questo strano mondo parallelo. Da voi per la prima volta ho lasciato la mia traccia nei commenti (la timidezza esiste, anche nel web) Si trattava del vostro post sulla pubblicità nei blog. Ecco, lì mi sono per la prima volta, sentita di dire la mia, lì ho capito quanto fosse importante il commento per far evolvere la discussione.
In vostro onore oggi più che mai e ripensando a quel post e a quel mio inizio, vi parlo di un film girato da un ex-pubblicitario.

STRANE STORIE di Sandro Baldoni (1994)


Lui, l'anno: 1994. Considerando che compio gli anni verso la fine dell'anno, il 1994 era l'anno dei miei 18 anni. La storia tra me e il K. era un germoglio e a 17 anni avere una storia con un uomo di 10 anni più grande, non era da poco. Per nessuno. Il 1994 era l'anno della nascita politica di mister B. E' stato l'anno della mia maturità e del mio trasloco a Bologna. Penso di essere andata al cinema tutte le sere. O almeno così me lo voglio ricordare, perché quell'anno è stato ricco e bello e grasso di cose da vivere. Compreso questo piccolo gioiello.

Lui, il regista: Sandro Baldoni ha lavorato tanti anni nella pubblicità. Io ho fatto uno stage di tre mesi in una casa di produzione di pubblicità e davvero, mi è bastato. Lui era diventato famoso per una pubblicità meravigliosa di il manifesto... indimenticabile... 


E questa già vi dice molto sul personaggio e sul suo stile artistico. 
Purtroppo il suo nome è emerso anche dalle cronache più cupe, essendo il fratello di Enzo, giornalista assassinato in Iraq nell'agosto del 2004.

Lei, la trama: sono tre episodi legati da un nonno che racconta e da una nipote che ascolta mentre viaggiano in treno. Il primo episodio narra di un uomo che si è dimenticato di pagare la bolletta per l'aria che respira; il secondo di una donna che compra al super un uomo, ma poi lo riporta perché scaduto; il terzo di una lotta tra una famiglia nordista e una sudista (con stereotipi ribaltati). Il finale è da silenzio muto in sala.

Sotto sotto: è un film che racconta molto bene noi italiani. Sulla burocrazia, l'iper consumismo, l'odio campanilistico (oggi abbiamo solo spostato un po' i confini). E' surreale, ironico. Le cifre che a me piacciono molto. Poi è recitato divinamente e si sa, nel nostro Bel Paese, non è cosa da poco.

Due you tube, perché merita, dall'episodio Uno:

martedì 3 maggio 2011

SERIAL TV ovvero QUANDO IL DIVANO VINCE

Cara Stima, oggi easy listening di brutto.
Tutto è nato così.
Ieri sera. Ore 21.49. Mostri a letto. Doccia fatta. Lavastoviglie avviata. K. uscito.
Sola.
Mi siedo sul divano accompagnando il gesto con quell' "ohhhhhh" che mai nella mia vita avrei pensato di pronunciare (lo emetteva sempre mia nonna sedendosi appunto).
Dietro di me il tavolo di vetro appena sgomberato dal K. Vuoto, liscio, pronto ad accogliere il mio mac per il post del giorno dopo.
Davanti a me la tv. Di fianco a me l'ultimo libro di cucina comprato (dolci con miele e yogurt).
Il senso del dovere mi spinge dietro.
La curiosità mi spinge di fianco.
La stanchezza mi spinge avanti.

Manco a dirlo che vince l'ultima.
Mysky: ti adoro. E così mi gusto la 16a puntata della 2a serie di Glee. OHHHHHH...


Glee è il Saranno Famosi del nuovo millennio. 
Saranno Famosi è stato per anni, con Lupin, l'unico legame solido e inossidabile creato con mio fratello mezzano. Di cinque anni più grande, abbiamo sempre faticato molto a costruirci insieme e quelle visioni lì insieme, sdraiati per terra davanti alla tv me le tengo legate al cuore.
Glee non solo è bello perché è scritto bene e recitato bene, ma si ascolta anche dell'ottima musica da lunedì sera stravaccate sul divano. 
Bello. Bello bello.
E poi, che invidia. Anch'io una volta nella mia vita voglio ballare nell'acqua e cantare Singing in The Rain alla mammainverde maniera (tu Pentapata ne sai qualcosa di inglese storpiato?)

lunedì 2 maggio 2011

DECLUTTERING, DOWNSHIFTING.... ovvero MINIMAL NONNA T.

Downshifting, decluttering, minimal.
Sono termini il cui significato l'ho appreso nel minimoblog che trovo bellissimo e interessante. Ho qualche antipatia per l'uso smodato di parole non italiane, ma è dal mondo anglosassone che giunge quest'ondata e tant'è!
Io ero rimasta legata più al pensiero cattolico-progressista sintetizzato dalla parola sobrietà. Negli ambienti che io e K. frequentavamo (e frequentiamo) circa un lustro fa, questa era la parola chiave, il concetto che sfondava e che dentro di sè includeva tutti e tre i termini lassù riportati.
Io non l'amavo tanto, perché mi pareva un po' ipocrita, e difficile da definire. In alcuni casi quella parola serviva per ripulirsi ben bene la propria immagine di cittadino impegnato, ma di fatto rimaneva un concetto molto astratto (esistono macchine più 'sobrie' di altre? Si può misurare la sobrietà nel cibo? Negli abiti?).
Poi è arrivato Serge Latouche con il concetto di decrescita felice.


Io condivido in toto l'idea alla base della decrescita, tornata così in auge un tre anni fa con l'inizio della grande crisi economica mondiale. Ma poi mi chiedo. La mia vicina di casa, la mamma di un compagno di Gnomo Uno, che non trovano un lavoro da mesi (impiegate), vere vittime di questa crisi, cosa penserebbero se gli parlassi di decrescita felice? E' possibile che sia felice la decrescita se potesse essere una scelta consapevole, mi dico. Non una necessità. 
Dividerei la sfera filosofica (concetto di sobrietà e descrescita felice) dalla sfera pragmatica (concetto di decluttering). Tutti gli spunti sul decluttering sono molti interessanti e in vista del trasloco prendo appunti e cerco di applicare.
Ma io ho una maestra di quest'arte. Mia suocera.

Gnomo Tre in braccio a nonna T. gioca con uno dei suoi passatempi preferiti:
tira fuori e metti dentro i cucchiaini dalla scatoletta.
Ha fatto fatica insieme a suo marito a tirare grandi i suoi due figli. Tanti sacrifici, tante sveglie alle sei, tanto lavorare alla finestra ricamando. Lei la sobrietà ce l'ha nell'anima. Al decluttering non arriva, perché ha imparato dalla vita a non comprare se non il necessario, a riutilizzare gli oggetti (vedi foto sopra), a buttare se irreparabilmente rotto (l'altro giorno con chiodi e martello metteva a posto un vecchissimo orologio, non se ne faceva una ragione che fosse caduto...). 
Da lei ho imparato come intrattenere i miei figli con niente: una vecchia scatola di tè e dei cucchiaini. Un tappo e il contenitore di plastica della pasta. La frusta a manovella per montare l'uovo e un piattino di plastica dura. Perché fare decluttering con tre bambini intorno (loro, così conservatori!!) non è facile per niente....
La sua casa è minimal. E vi assicuro che l'effetto è positivo. Quando entri il cuore rallenta i battiti e tutto induce alla calma. 

Volevo parlare di un'illuminante prospettiva pratica e ho scritto di Latouche!!
Volevo farvi partecipi dell'idea di una mia amica mamma che ha deciso per il compleanno del proprio figlio di chiedere un regalo solo condiviso da tutti i partecipanti alla festa. Volevo dirvi che non so se lei ha in mente la traduzione del termine decluttering, ma aveva sicuramente bene in mente cosa vuol dire avere in casa 3 orologi di ben 10, quattro confezioni di macchinine, un numero imprecisato di beiblade, bagukan, e ninjako.... e ha detto no.
Volevo raccontarvi semplicemente che noi mamme abbiamo copiato l'idea e venti bambini hanno fatto un mega regalo ad un loro compagno che sprizzava gioia da tutte le parti. Volevo dirvi che gli oggetti è vero che ci stanno sommergendo, tutti se ne accorgono. 
E che spesso il problema pratico aiuta a mettere a fuoco il problema filosofico.
Volevo dirvi solo che anche questo è un insegnamento che mi ha regalato la nonna T.

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