venerdì 18 gennaio 2013

QUANDO SAPEVAMO ASPETTARE ovvero DI COSE QUOTIDIANE

Paola oggi torno con il VdL e torno con Bichsel, di cui avevo già parlato la scorsa settimana.
E' un libro di racconti di una pagina e mezzo l'uno.
E' questo:

QUANDO SAPEVAMO ASPETTARE
di P. Bichsel
- comma 22 -



Parte da questa considerazione Bichsel: perché un quarto d'ora prima di arrivare alla stazione ci si alza, ci si mette la giacca, ci si mette in fila al centro del vagone per attendere di scendere? 

Probabilmente perché non c'è niente che abbiamo imparato con tanto dolore quanto l'attesa...

Perché mi piace tanto Bichsel?
Perché dalla sua osteria racconta le cose piccole, i minimi movimenti quotidiani. Le piccole figure (un racconto è intitolato E Paris Hilton? e un altro La lontana parente della Rosolinda), i piccolo avvenimenti (Mentre osservo il mio spiedo o ancora Mentre sistemo le cose per l'anno nuovo).
Bichsel parte da un evento così sottile da parere effimero e poi si allarga, si allarga, ma sempre con l'umiltà del quotidiano.
Alcuni racconti sono esemplari, uno (La festa dell'appartenenza) parla del salutarsi. Quanto facciamo meccanicamente questo gesto e quando è pregno di ricadute:

Mi piace salutare, e apprezzo molto il fatto di abitare in un piccolo posto, dove la maggior parte delle persone si saluta ancora oggi. Il gesto del saluto non significa solo che ho notato l'altra persona, ma è anche un gesto reciproco che segnala l'appartenenza a una comunità. Salutare ed essere salutati può portare un po' di calore nelle nostre grigie giornate. E' difficile che gli automobilisti ne abbiamo l'occasione. Il saluto è un privilegio del pedone.

Quanto queste parole mi fanno venire in mente l'Uno e il Due che all'uscita da scuola chiamano a gran voce i loro amici dall'altra parte della strada: EHI CIAO!! Alzando le mani, avendo condiviso le precedenti otto ore, ma con entusiasmo vero. E' sì senso d'appartenenza, quella bella, quella che protegge.

Vorrei citarveli tutti i racconti.
Ma concludo con due.
Il primo è Quando si ha fretta di capire:

Forse la capacità di ascoltare è più elevata di quella di capire. E forse noi siamo cattivi ascoltatori perché abbiamo sempre fretta di capire. E probabilmente è possibile ascoltare bene solo quando si tollera di non capire. 

Parlava in questo caso di una lettura avvincente in una centro per disabili...

L'ultimo è invece Aspettare mentre si è in fuga e parla proprio dell'attesa, del treno ad esempio e del Natale, da bambini e di come all'improvviso quell'ansia contagiosamente bella un giorno svanì. Ma lui è Bichsel e non ci lascia soli:

Vi auguro comunque un bell'alberello e la pazienza di restare seduti finché sulla parete della stanza ancora danzano le ombre e i riflessi delle candele che piano piano si spengono.




mercoledì 16 gennaio 2013

OCCHI UBRIACHI ovvero MIRO' e MCCURRY

Durante una pausa delle nostre malate vacanze, siamo stati a Genova. La meravigliosa, fredda, romantica, ventosa, invernale Genova.
Siamo andati a vedere due mostre:


Mirò mi si è appiccicato agli occhi. Non avevo mai visto i suoi lavori dal vivo. 
Noi e i bambini con alle orecchie la guida, ascoltavamo direttamente le parole dell'artista. I bambini si sono rifiutati la guida per loro, hanno scelto quella degli adulti, più ricca, contornata di foto e filmati. Beate audioguide.
Io amo di Mirò l'uso del colore, quei neri netti, solidi, forti. E poi le figure fluttuanti, le presenze vive che si formano nei suoi quadri. 
E poi di lui mi piace la passione che traborda, il fatto che abbia lavorato fino a tardissima età. Mi piace il simbolismo: l'occhio, la stella, gli uccelli. Simboli che mi corrispondono.
La cosa che poi mi ha incuriosito è stata come i bambini abbiamo letto in modo differente quello che hanno visto.
Per l'Uno, bambino tutta testa, astrattismo puro, che vive nel suo mondo, le opere di Mirò erano non straordinarie o insolite, a lui sono piaciuto, come poteva piacergli Caravaggio.
Il Due invece, che attende, riflette, tentenna, che prima ascolta le parole degli altri prima di esprimere la propria opinione, due-tre giorni dopo la visita, mi si avvicina e mi chiede: "Ma mamma io penso che se uno disegna una cosa, deve disegnare una cosa che esiste. Mirò non disegnava cose che esistono!".
Lui è il nostro realista, molto attento agli eventi, a ciò che accade, concreto, risolutivo. Per usare delle metafore cinematografiche: l'Uno è Bunuel, il Due Rossellini.
E il Tre? Pensate che dall'alto dei suoi due anni e mezzo si esimesse dall'esprimere la propria opinione? No: "Mamma, oggi siamo stati a vedere i mostri nei quadri. Erano bellissimi!".
I mostri nei quadri. Pensò che Mirò avrebbe apprezzato.
Qui tutto sulla mostra.
E qui un ottimo libro per bambini su Mirò da vedere e da sentire.


Concluso questo giro ci siamo spostati da McCurry.
E' un fotografo. E' l'autore di questa famosissima foto:


E' carrellata di ritratti.
Di fatto è una mostra sugli sguardi e dunque sugli occhi, che sono quasi un'ossessione che accomuna lui e Mirò.
L'allestimento è semplice ma davvero d'impatto. La stanza delle guerre è tremenda. Non ci sono immagini truculente per il corpo, ci sono immagini terrificanti per l'anima. I bambini naturalmente si sono soffermati molto in questa stanza e non capivano se fotografava cose vere, tanto lontane erano dalla loro vita reale: "Ma quel fucile che ha in mano quel bambino è vero?"

Qui tutto sulla mostra.
Qui un ottimo video su McCurry (sottotitolato in italiano).



lunedì 14 gennaio 2013

SULLE PAURE A 8 ANNI ovvero PARLARE DI BAMBINI GRANDI

Un po' di tempo fa un'amica mi chiedeva come mai tra i mammyblog si trovassero molti argomenti nella fascia pre-scolare (0-6) e pochissimi per quella successiva.
Questo interrogativo, come mi è solito, me ne faceva aprire altri.
Io parlavo meno di Uno nel mio. Era vero. Perché?
Le questioni da piccoli sono più trattabili?
Cosa mi bloccava?

Penso che le questioni 0-6 anni siano più facilmente condivisibili semplicemente perché in parte legate alla parte 'fisica', 'corporea': mangia il bambino? Lo allatto? Cammina? Gattona? Rompe le cose? Ci parla insieme? Ha tolto il pannolino? Dorme di notte?... ecc. E queste sono tutte domande che da genitori ci hanno coinvolto e che hanno coinvolto i nostri bambini.
Poi si passa alle questioni più emotive ed emozionali: il primo giorno al nido, alla materna; le prime amicizie; il rapporto coi fratelli; ecc. ecc.
E anche questi sono argomenti condivisi nella superficie anche se poi declinati in maniera diversa da bambino a bambino. Ma la generalità del tema e il fatto di sapere che il lettore a cui ti stai rivolgendo (presumibilmente un altro genitore) stia affrontando lo stesso problema, stimola la tua voglia di condividere.


Scrivania di ottenne.
Poi succede questa cosa che tuo figlio cresce. La sua autonomia fisica e di pensiero cresce e improvvisamente parlare di lui diventa più difficile. Hai paura di ferirlo. Hai paura di metterlo alla finestra, di esporlo all'acuta analisi.
Le problematiche lentamente ma inesorabilmente divengono private. Come il corpo di un bambino, a ben pensarci, che in spiaggia a due anni gira liberamente nudo e poi a cinque vuole l'asciugamano per cambiare il costume e a otto si barrica nello spogliatoio e chiude a doppia mandata. Questo succede fuori e succede dentro.
Per rispettare questa esigenza, noi genitori chiudiamo.

E' difficile trovare un equilibrio, dunque, nella documentazione di ciò che accade a mio figlio. Però quest'anno a noi è successa una cosa che mi ha spinto a cercare in rete qualcuno a cui fosse successa, per capire meglio.
Io il punto fermo che ho sempre avuto rispetto al blog, e alla mia scrittura in generale è: domani questo tuo figlio lo leggerà.
Dunque scrivo cose che possano aiutare me e un domani lui.

L'Uno ad un certo punto ha cominciato ad avere delle paure insolite. A richiedere la mia presenza fisica. A temere un po' la notte. A domandare di particolari insoliti (come si chiude la porta, come funziona l'allarme). A temere eventi catastrofici (il famigerato tsunami, il tornado, ecc...).
Ho chiesto a una persona di fiducia e del mestiere cosa gli stesse accadendo e lui mi ha risposto che, in anticipo un po' sui tempi anagrafici (in genere avviene tra i 10 e gli 11 anni), l'Uno stava passando una sorta di crisi esistenziale. Una rottura dell'incantesimo, si può dire. L'Uno in quei momenti aveva capito che suo papà e sua mamma potrebbero un giorno non esserci più, che la casa può essere davvero violata, che la natura contro la nostra volontà può essere davvero terrificante.
E' uno stacco dall'infanzia, doloroso, come tutti gli stacchi. E a me, probabilmente, più che a lui, ha fatto paura.
Il sogno si è spezzato e la realtà con tutto il suo peso è andata sulle sue spalle.
Come abbiamo fatto per gestirla?
In due modi essenzialmente.
Sotto consiglio di questa persona, la sera abbiamo usato una crema alla lavanda da spalmare sul petto. Un rito, dunque, come da piccolini. Il contatto, il profumo squisito, il rituale dell'accompagnamento, ci siamo Uno, siamo qui.
E poi la vicinanza. Richiedi vicinanza e io te la do. Vuoi che mi sieda accanto a te mentre fai i compiti, mi siedo. Vuoi sicurezza, te la do. Vuoi tuo papà più presente, e via al cinema con lui.

Piano piano tutto è rientrato, con lenta delicatezza.
E' un passaggio, avverrà, magari non in questa forma, anche al Due e al Tre.
L'Uno non ne sarà ferito per questo mio racconto, ne sono sicura.
In fondo, è stata la testimonianza della sua e della mia paura e della vittoria su di esse.

venerdì 11 gennaio 2013

Il LETTORE, IL NARRARE ovvero PETER BICHSEL

L'ho detto che tornavo. E se torno, torno anche con gli amati venerdì del libro di Paola.
Prima delle vacanze natalizie, sono andata dal mio libraio con caffè. Sbirciavo per qualche regalo quando il suo socio mi guarda e mi dice: "Quel libro che stai sfogliando è bello, ma l'altro lo è ancora di più!".
Erano due libri di uno stesso autore: Peter Bichsel.
Ha continuato: "E' un libro sulla letteratura che ha scritto molto prima che Pennac sfondasse col suo, anche lui è stato un maestro. E' svizzero".
Non ho tentennato e li ho comprati tutti e due.

IL LETTORE, IL NARRARE
di P. Bichsel
- comma 22 -


E' un libricino di 80 pagine denso di concetti. E' diviso in 5 lezioni e racconta, ricco di aneddoti, il concetto di letteratura di questo simpatico scrittore svizzero. Ci sono alunni, osterie, citazioni, di Goethe.
E' difficile descrivere e consigliare un saggio. Dunque mi è venuta questa idea: per ogni lezione vi scrivo delle sue osservazioni.

Storie sulla letteratura

Narrare significa occuparsi del tempo e, se viviamo la nostra vita come tempo, è perché la nostra vita ha una scadenza, come ce l'ha anche la vita dei nostri amici. (...) Ciò che resta è la tristezza dovuta alla finitudine. La tristezza non si può superare. La si può rifiutare o accettare e raccontare storie ha a che fare con il fatto di accettare la tristezza. La naturale tristezza del vivere trasforma l'essere umano in un narratore di storie.


Il narrare

I lettori sono persone che, tra l'altro, sanno avere a che fare con le domande senza chiedere subito delle risposte: che vivono nelle domande e non nelle risposte. Per la maggioranza questo può essere considerato un comportamento sovversivo.


Come cominciare - sui contenuti

Tutti noi abbiamo vissuto momenti di disperazione di fronte alle prime pagine dei grandi romanzi russi, quando non capivamo chi fosse lo zio e chi il fratello e se la zia fosse la moglie dello zio e se fosse il fratello o l'amico a essere innamorato della figlia e di chi fosse la figlia. Siamo allenati e sappiamo come si affronta il problema: si continua a leggere, prima o poi si capirà. Chi si ferma davanti alle cose che non capisce, non riuscirà più a leggere, dovrà per forza rinunciare. Generosità, snobismo, spacconeria o il "sentire" come lo intendeva Goethe sono necessari per leggere ogni genere di letteratura.


Joyce, per esempio.

Se uno scrittore che invecchia smette di scrivere, non dipende dal fatto che gli mancano gli argomenti o la forza. Forse si è scritto così tanto sul corpo che non ha più posto per niente di nuovo, non ci sta più niente sul groppone. Scrivere, in questo senso, è anche una questione di forma, dipende da quanto un autore sopporta e da quanto è disposto a portare.


Storie che ha scritto la vita

Al contrario, gli autori di letteratura d'evasione comunicazione solo attraverso i contenuti. Il lettore non impara altro che ad ascoltare, non impara invece a narrare perché normalmente la letteratura d'evasione non riflette sul narrare.


Oh, quando ho letto della disperazione davanti alle prime pagine dei romanzi russi, quanto mi sono sentita capita....
Davvero ottimo libro.



mercoledì 9 gennaio 2013

SULLE ISCRIZIONI ALLA SCUOLA PRIMARIA

Il Due ha cinque anni. A settembre andrà in prima elementare.
Sono nel vortice dell'open day furioso. Ho visto slide di powerpoint a manetta. Ho studiato offerte formative, orari, metodi educativi.
Questo è il primo anno in cui la famigerata riforma Gelmini va a regime e dunque, escludendo le scuole a tempo pieno (che hanno i loro problemi), le ore garantite dal ministero sono 27.
A parte il fatto che non si capisce il numero dispari. Se è vero che i bambini vanno a scuola per 4 ore la mattina e 2 nel pomeriggio, perché optare per 27 ore? Chi me lo spiega che da anni non riesco a capirlo?
Però...
Alcune scuole per una sorta di alchimia interna riescono a far spuntare la famosa 28esima ora. La agognata, direi, 28esima ora.

I genitori vagano tra scuole che iniziano a orari improbabili (8.20 o 8.15 o 8.35....) con pomeriggi sparsi (ex: lun-mar-mer a scuola il pomeriggio e se volete anche il giovedì vi pagate la mensa a prezzo pieno). E poi ci sono quelli che lavorano, che hanno bisogno del tempo pieno. Ma le scuole a tempo pieno sono piene e se non sei sotto stradario non ti prendono e dunque inveiscono di fronte ad insegnanti inermi, vittime esse stesse della riforma.
Come se fosse della scuola il problema di come riempire il pomeriggio al bambino, e non dello stato, quello stato a cui paghiamo una vagonata di tasse e che lascia le famiglie allo sbando o le sbatte forzatamente nelle private.

E ieri come già tre anni fa rimango sbalordita di fronte all'orario scolastico settimanale della terza elementare dove si fanno 6 ore di italiano e 3 di inglese e 2 di religione, 1 di immagine, 1 di motoria. Ma vi sembra un orario sensato?

Ma non è finita qui.
Da quest'anno è obbligatoria l'iscrizione on line.
Il papà di K. ieri sera ha detto che lui non ha il computer.
Gli è stato risposto che la segreteria è tenuta a iscriverlo. Bisogna recarsi in segreteria.
Ma la segreteria è in un altro paese. E lui non ha la macchina. Se è per questo non ha nemmeno un lavoro.
Ma anche bypassando questo problema, per accedere devi avere una mail, perché la conferma dell'avvenuta inscrizione passa da questo simpatico strumento.
E allora io mi chiedo: ma chi legifera dove vive? Nella stratosfera? O forse è un docente di una blasonata università che fa aspettare i propri studenti ore davanti al suo studio per poi dire eh mi dispiace ma oggi non riesco a riceverla (a me è successo a Bologna, solo che io venivo da Milano)? Questi che usano termini dispregiativi in inglese per definire la popolazione italiana sono mai andati al discount a fare la spesa? Ma cosa dico... basterebbe entrare nella prima Scuola Primaria (come a loro piace chiamarla) che incrociano e vedere i bagni, le aule, le sedie, guardare le macchine fotocopiatrici, le palestre. Eh ma per fare questo, per entrare di soppiatto e guardare devono scendere dall'olimpo. Trasformasi da dei a uomini. Nell'antica Grecia Zeus lo faceva.
E ma poi ti direbbero: hai visto come è finita la Grecia...

Auguri di buon anno a tutti. Ma in particolare a quelli che ancora si incazzano per le cose giuste. Che l'iscrizione on line gli fa schifo e che la pagella in formato pdf non la vogliono.

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